FETA AL FORNO ALLA GRECA


FETA AL FORNO… MA CHE BONTA’!
Che dire a me la feta neanche piaceva, ma da quando sono andata in Grecia la prima volta mi sono letteralmente innamorata di questa semplicissima ricetta che rende questo formaggio prodotto con latte di pecora e capra davvero irresistibile! Devo dire che come formaggio da mangiare a cubetti nell’insalata faccio ancora fatica ad apprezzarlo, ma della variante cotta al forno non posso più fare a meno.
La feta al forno può essere a mio avviso proposta sia come antipasto (magari con porzioni ridotte) che come secondo piatto. Nelle versioni che ho assaggiato nel mio viaggio a Santorini nella maggior parte dei locali mi è stata proposta cotta al cartoccio, su griglia e in alcuni casi al forno e guarnita con olive, peperoni, cipolle, pomodorini, capperi e olio.

LA MIA FETA AL CARTOCCIO

Ingredienti:
  • Feta greca (la trovate in tutti i supermercati nel banco frigo zona formaggi)
  •  Olive greche o taggiasche (più facili da trovare in Italia)
  • Capperi (per la dose io vado ad occhi, ma attenzione a non esagerare perché sono molto salati)
  •  Pomodorini tagliati a metà
  •  Peperone (senza esagerare con la dose, io di solito ne uso mezzo)
  •  Cipolla (giusto qualche rondella per insaporire)
  • Origano (opzionale secondo me)
  •  Olio
  • Sale (se abbondate di capperi come me evitate di usarlo)

Procedimento:
  • Lavate e tagliate gli ingredienti vegetali (pomodorini, cipolle, peperoni)
  •  Prendete un pezzo di alluminio e adagiate sopra la feta
  •  Appoggiate gli ingredienti sulla feta a vostro piacimento
  •  Sistemate di olio e sale e chiudete i bordi dell’alluminio senza schiacciare la feta
  •  Il cartoccio è pronto per essere infornato
  •  Cottura nel forno già caldo a 180 ° per 12-15 minuti


Fatemi sapere se il risultato delizia anche il vostro palato!!!



PARCO NAZIONALE DELLA VAL GRANDE


La Val Grande è una valle montana estesa fra la zona del Lago Maggiore e le Alpi Lepontine, qui la presenza dell’uomo non si riscontra da mezzo secolo ed è per questo che l’ambiente naturale ha ripreso a fare il suo corso evolvendosi liberamente.
Spesso a questo ambiente naturale viene associata la parola “wilderness” per indicare un territorio in cui la natura si sta riprendendo il suo spazio senza l’intervento umano, un ritorno ad una condizione primordiale dopo un utilizzo massiccio delle risorse da parte dell’azione dell’uomo.
La storia della Val Grande può essere sintetizzata in tre periodi:
-dal XIII al XX secolo, momento di massiccio intervento antropico con l’utilizzo di corti, alpeggi e taglio dei boschi;
-dagli anni ’50 agli anni ‘90 del Novecento, decenni di abbandono totale;
-dal 1992, inizio dell’intervento di tutela di questa superficie con l’istituzione ufficiale del Parco Nazionale della Val Grande.
Il processo di ritorno alla naturalità della Val Grande non è stato un intervento deciso dall’uomo, ma nasce come risultato del progressivo abbandono di attività agricole e forestali, conseguenza di eventi storici ed evoluzione sociale. Il parco offre un ambiente in cui flora e fauna vivono e si riproducono liberamente, è un museo a cielo aperto in cui capire una civiltà che si è sviluppata in uno dei luoghi più impervi e inospitali delle Alpi.
La Val Grande è un territorio montuoso, una valle chiusa accessibile solo da alti valichi, necessariamente a piedi e senza nessun mezzo di trasporto, qui si esercita l’arte del camminare! Il ritmo lento che questo ambiente richiede forse si discosta troppo dai ritmi frenetici della contemporaneità, ma è una dimensione necessaria per acquisire una nuova concezione di tempo e distanza calcolati in ore di fatica.
Le montagne presenti nella superficie del parco (15.000 ettari estesi su un territorio compreso nei comuni di Aurano, Beura Cardezza, Caprezzo, Cossogno, Cursolo Orasso, Intragna, Malesco, Miazzina, Premosello Chiovenda, San Bernardino Verbano, Santa Maria Maggiore, Trontano e Vogogna) sono 17. Queste vette, di cui la più alta è il Monte Todano con i suoi 2299 metri di altezza, sono raggiungibili da sentieri di livelli differenti e che offrono una volta raggiunta la cima a nord panorami sulle Grandi Alpi con i ghiacciai del Monte Rosa e a sud paesaggi più dolci ammorbiditi dalla presenza dei laghi.
All’interno del parco è possibile effettuare escursioni di una giornata o traversate di più giorni appoggiandosi ai bivacchi (strutture spartane ricavate da baite e strutture presenti in cui si trovano letti a castello o tavolati su cui dormire e l’essenziale per poter cucinare) per riposare o sostare durante la notte. In questo particolare contesto naturale ci si può dimenticare dei rumori della “civiltà”, si incontrano solo silenzio e i propri pensieri, anche se alle volte qualche aereo che sorvola l’area vi farà tornare alla dimensione del mondo contemporaneo! La Val Grande tuttavia è un luogo impervio e difficile, alcuni luoghi risultano quasi inaccessibili e richiedono una certa preparazione (purtroppo spesso si ha notizia di gente smarrita o in difficoltà su alcuni sentieri), ma ci sono anche escursioni semplici e sicure soprattutto nella zona dei laghi.
La Val Grande non affascina solo per la sua natura selvaggia, ma cela al suo interno anche aspetti misteriosi della civiltà alpina ricordando il passato di meta dell’intensa transumanza dalle valli limitrofe. Le incisioni rupestri dell’Alpe Prà di Cicogna e Sassoledo richiamano l’antica presenza umana che si esprime anche nei massi coppellati. I segni della presenza dell’uomo si possono cogliere con un’analisi approfondita del territorio e si riconoscono soprattutto nell’architettura popolare che ha saputo forgiare questo aspra porzione di terra. La Linea Cadorna è un segno di un passato più recente ed è una testimonianza storica molto importante dell’area valgrandina; si tratta di fortificazioni militari realizzate ai margini della valle durante la Prima Guerra Mondiale per il timore di un attacco austro-tedesco attraverso la vicina Svizzera. Ora le strade militari sono diventate sentieri escursionistici in cui spesso ci si imbatte in cartelli che ne danno informazioni.
I piccoli paesi che confinano con la superficie del Parco Val Grande sono ancora molto attaccati al loro passato, mantenendo vive tradizioni legate alla religiosità popolare e le antiche consuetudini del lavoro nei campi e del ciclo delle stagioni.
Una delle maggiori attrattive del parco è la ricchezza della vegetazione, un patrimonio naturale davvero eccezionale che si sviluppa grazie alle condizioni climatiche presenti e per l’influsso del Lago Maggiore. I boschi di latifoglie predominano nella bassa Val Grande, mentre il faggio è presente nell’alta Val Grande. Nei mesi primaverili, con il risveglio del ciclo della natura, il paesaggio si colora con ranuncoli, anemoni, violette, primule, narcisi, gigli e piccole orchidee. Nelle zone collocate a quote maggiori si trovano arbusti e prateria alpina.
Anche la fauna è molto ricca. Il camoscio risulta la specie più diffusa. Oltre un migliaio di esemplari trovano qui il proprio habitat nella boscaglia, altri ungulati presenti sono il capriolo, alcuni cervi e cinghiali; frequente è anche la presenza di volpi, tassi, faine, ricci, ghiri e scoiattoli. Tra i piccoli mammiferi topolini selvatici, arvicole e toporagni. L’avifauna mostra alcune specie particolari come il gallo forcello, il merlo acquaiolo e l’aquila reale, Nelle acque limpide dei torrenti si trovano trote e anfibi, tra i rettili le vipere sono incontri molto frequenti.

Spero di essere riuscita a darvi una breve descrizione storica e naturalistica del parco, un luogo magico e meraviglioso che adoro frequentare per una passeggiata solitaria quando necessito di un po' di tempo per me o in compagnia per escursioni più impegnative! Ma ricordate prima di effettuare una gita in Val Grande informatevi bene sul percorso che intendete intraprendere e recatevi in uno dei punti informazione del parco per richiedere mappe e materiale informativo anche perché i cellulari non prendono e non vi sarà possibile aiutarvi con il gps o google!!

RITORNO ALLA SARDEGNA BUCOLICA



Negli ultimi anni mi concedo almeno una settimana sull’isola sarda dato che i miei hanno preso una piccola casetta a sud, in provincia di Cagliari. Inizialmente l’idea di trascorrere parte delle vacanze estive qui non mi entusiasmava molto…quando penso alla Sardegna mi vengono subito in mente le località più famose della Costa Smeralda e di conseguenza il casino che ne deriva. La parte inferiore dell’isola però sembra quasi non avere subito il processo di trasformazione in località balneari di lusso e alla moda.
La Sardegna è un’isola molto particolare, offre contesti paesaggistici molto diversi tra loro: spiagge da sogno con acqua cristallina e sabbia bianca, regioni aspre quasi inospitali, altopiani e zone montane con fitti boschi. I muretti in pietra sono presenti quasi ovunque così come il profumo di natura che si respira osservando i greggi di pecore che pascolano.
La storia dell’isola incanta per le movimentate vicende che hanno lasciato segni tangibili con i nuraghi e le torri di pietra erette durante l’Età del Bronzo. La civiltà sarda è stata forgiante in molti campi e anche in quello artistico il patrimonio che ha creato si compone di opere plastiche di grande espressività, soprattutto se si pensa che questa società raggiunse il suo apice 3000 anni fa. Il territorio sardo ha consentito il fiorire del popolo dei nuraghi grazie alle risorse minerarie, bramate anche da popoli come i Fenici, Romani e Cartaginesi, che sbarcarono sull’isola lasciando tracce del loro passaggio. Fin dal passato la Sardegna nonostante la posizione non restò mai isolata, ma partecipò in modo attivo a scambi commerciali e culturali all’interno del bacino del Mediterraneo.
Anche il Medioevo fu un’epoca prolifica come testimoniano le splendide chiese in stile romanico pisano ancora presenti sul territorio.
Il dominio feudale spagnolo fu invece caratterizzato da dispotismo, repressione e sfruttamento, anche la dominazione piemontese non mutò questa situazione precaria in cui indigenza e miseria dei sardi dilagavano. A seguito della creazione del Regno d’Italia (Il cui nucleo era costituito da Regno di Piemonte e di Sardegna) l’isola continuò ad essere sfruttata ad opera di imprenditori del continente. Nel 1948 successivamente alla costituzione repubblicana del 1946 la Sardegna ha ottenuto l’autonomia.
La parte di isola che ho visitato (zona del cagliaritano, sud) appare come una terra senza tempo, nonostante la modernizzazione che dagli anni Sessanta si è diffusa in modo capillare. Al processo di industrializzazione si è affiancato quello di spopolamento dei paesi di montagna e dell’abbandono delle campagne, a favore delle città maggiori come Cagliari e comuni di grosse dimensioni che attirano nuovi immigrati. Nonostante questi fenomeni ciò che ho notato è che l’identità dei sardi verso le proprie radici continua ad essere conservata gelosamente e la coltivazione delle tradizioni si riscontra anche nei giovani tramite la passione per musica, gastronomia, costumi e con il proseguo dei mestieri più antichi.
Il mare è sicuramente la prima cosa a cui si pensa in relazione alla Sardegna, ma questa terra offre anche altre attività come trekking, arrampicata sportiva, escursioni a cavallo o in mountain bike, gite in barca e giri in canoe attraverso laghi e fiumi.

Anche quest’anno ho raggiunto Porto Corallo atterrando all’aeroporto di Cagliari Elmas, con una nuova compagnia di Olbia con cui mi sono trovata molto bene AIR ITALY e a seguito di un tragitto di circa un’ora in macchina. La scelta di venire la settimana di ferragosto è stata obbligata, ma in alcune zone non ho nemmeno percepito la presenza di troppi vacanzieri.
Porto Corallo (zona in cui hanno casa i miei genitori) è una piccola frazione del comune di Villaputzu nella subregione del Sarrabus, è una località balneare con un suo porto e molte strutture ricettive per i turisti. La torre situata nei pressi del porticciolo è molto antica e faceva parte del sistema di avvistamento difensivo del territorio contro i Saraceni.
Villaputzu che dista pochi chilometri fu abitata in età nuragica e numerosi sono i rinvenimenti nell’attuale rione Santa Maria; in epoca medioevale la storia del paese si fonde con quella di Scarcapos, città commerciale e portuale situata sulla foce del fiume Flumendosa, centro di partenza per gli itinerari verso l’Etruria in quanto unico porto fluviale. All’epoca medievale risale il castello di Quirra situato nell’omonima regione ed in epoca moderna la contea di Quirra fu trasformata in marchesato.  Durante l’annessione sarda ai possedimenti sabaudi e nel processo di Unità d’Italia Villaputzu passò sotto la giurisdizione di Muravera, centro maggiore e il paese fu riscattato agli ultimi feudatari gli Osorio de la Cueva ultimi marchesi di Quirra. Oggi nel territorio è presente dal 1956 un poligono sperimentale di addestramento.
Muravera, centro maggiore, è sorta su una valle fluviale a ridosso di una cerchia di colline che delimitano un sistema lagunare di stagni. I primi insediamenti nel territorio risalgono alla preistoria, ne sono testimonianza il complesso megalitico di Piscina Rei e di Nuraghe Scalas, nella zona trovarono luogo anche stanziamenti fenici, punici e romani. Nel Medioevo Muravera fu oggetto delle continue incursioni da parte dei pirati barbareschi a causa della posizione geografica, per questo tra XVI e XVII secolo sorsero ad opera degli spagnoli le torri costiere che dominano le spiagge: Torre delle saline, Torre di Capo Ferrato e Torre dei dieci cavalli. Anche qui come a Villaputzu in epoca sabauda furono aboliti i feudi e alla fine del XIX secolo avvenne la chiusura delle terre comunali.

Ovviamente la mia settimana di vacanza è trascorsa vagando da una spiaggia all’altra, da un mare cristallino con fondo di ghiaia a un’altra con onde che si infrangono sugli scogli a picco. Per le spiagge non c’è che l’imbarazzo della scelta. Gli stabilimenti balneari essendo agosto e in particolare la settimana del 15 erano molto affollati quindi ho preferito cercare spiagge libere, il più possibile isolate e in posti difficilmente raggiungibili dalle famiglie, così da garantirmi silenzio e tranquillità per un relax totale!
La maggior parte delle giornate le ho trascorse nella spiaggia di Murtas nel territorio di Quirra, si tratta di un’area in parte interdetta per ragioni militari, ma che in estate è fruibile sulla costa dai bagnanti. Murtas con i suoi 7 km di sabbia chiara a grani medi è contornata da dune di sabbia e dal mare di un azzurro molto intenso. Vicino alla costa si estende lo stagno di Quirra con altre piccole paludi minori, la sera fanno da specchio alle luci del tramonto. L’acqua del mare è davvero trasparente e pulita, è bellissimo nuotare con maschera e pinne osservando pesci, polpi, razze, ricci e stelle marine! Sì ho avuto la fortuna di imbattermi durante un bagno mattutino in due bellissime stelle marine adagiate sul fondale…questo per farvi capire quanto ancora sia incontaminata la flora subacquea in questa parte di Sardegna.
Altra spiaggia, ma con fondale sabbioso grigio è quella delle Saline.  Anche qui l’acqua è molto pulita, ma il fondale subito profondo il giorno in cui sono stata io non offriva una visuale nitida poiché era molto mosso il mare. Oltre alla spiaggia libera poco distante c’è un’area attrezzata con lettini e ombrelloni per questo motivo l’ho trovata un po' troppo frequentata.
A pochi passi da casa, ho trascorso una giornata alla Spiaggia di Porto Corallo, un litorale con sabbia a grani grossi animata da una fitta vegetazione, dall’acqua in alcuni tratti affiora la scogliera. La denominazione del luogo ricorda la presenza di colonie di preziosi coralli, la cui raccolta avviene fin da epoche remote per la preparazione di oggetti decorativi. Alle spalle della spiaggia si alza la torre spagnola che in orario tramonto offre una bella visuale, magari sorseggiando un ichnusa.
In provincia di Muravera mi è piaciuta molto anche la zona di Costa Rei caratterizzata dalla presenza del complesso montuoso dei Sette Fratelli. La macchia mediterranea nasconde angoli di mare incantevoli come Cala Pira, una piccola baia sovrastata dalla torre aragonese, quasi una sorte di custode del mare trasparente. Anche a Villasimius il mare mostra sfumature di azzurro molto intense, acqua limpida e distese di sabbia dal sapore caraibico. Qui le spiagge sono quasi tutte molto affollate, ma la spiaggia di Porto Giunco è bella anche con il vociare dei villeggianti, alle spalle di essa si trova lo stagno di Notteri habitat dei fenicotteri rosa e di altri uccelli rari. La spiaggia è dominata da una torre che si può facilmente raggiungere per immortalare le tonalità del mare e da cui il tramonto offre colori stupefacenti. La sera Villasimius è molto frequentata, qui si concentrano la maggior parte dei locali in cui passare piacevoli serate in compagnia ed è una delle località di maggior richiamo turistico nel periodo estivo.
Più distante, a circa un’ora di macchina nell’Ogliastra ho scoperto la spiaggia di Cea, con sabbia bianca, fondale basso e con sfumature smeraldine delle acque del mare. La spiaggia libera si alterna a tratti con stabilimenti balneari e non è a mio avviso troppo estesa, per questo era molto affollata. Lo spettacolo che offrono l’azzurro dell’acqua. Il blu del cielo, il bianco della sabbia e il rosso degli scogli sono impagabili!
Tortolì è la porta d’ingresso nell’ Ogliastra, un territorio in cui coesistono spiagge dal sapore tropicale, boschi di macchia mediterranea, pianure fertili, stagni e una striscia di porfido rosso che corre parallela alla costa. La piccola cittadina è molto frequentata in estate perché conduce al porto di Arbatax da cui partono numerosi tour in barca, è brulicante di vita, negozi e punti ristoro (qui ho mangiato una buonissima ciambella fritta!!). Arbatax oltre ad essere conosciuta per il porto è un monumento naturale da cui affiorano dalle verdi acque del mare le famose Rocce Rosse; anche qui mi sono imbattuta in un via vai di turisti continuo.

Non sono uscita spesso la sera, abbiamo preferito rimanere in veranda ad osservare l’infrangersi delle onde e il sorgere della luna che si manifesta nelle prime ore della sera di un rosso molto suggestivo. È bello andare la mattina dai pescatori locali (sempre pronti a dispensare ricette e consigli di cucina) scegliere il pesce che verrà cucinato la sera, passare dai contadini che a bordo strada in prossimità dei loro orti espongono frutta e verdura raccontandoti la storia di ogni pomodoro o zucchina che stai per acquistare, per non parlare dei panettieri e delle anziane signore che la domenica preparano i ravioli sardi alle patate. Si respira ovunque aria di semplicità, di piacere per le piccole cose e si entra in contatto con persone genuine, che ti danno confidenza al primo sguardo e che ti raccontano tutto di ogni angolo dei loro paesi e delle loro tradizioni.


Curiosità della bandiera sarda: i quattro mori con fascia sulla fronte

I sardi si sentono molto legati alla loro terra e ricordano costantemente le proprie origini, la bandiera sarda è presente quasi ovunque, molti addirittura se la sono tatuata sulla pelle. La bandiera mostra i quattro mori con la bandana sulla fronte, questo emblema ha origini nella Sardegna medioevale, quando vi era il dominio aragonese. Questo simbolo fu infatti portato sull’isola dai conquistatori della Catalogna e risaliva al periodo della Reconquista, quando i cristiani avevano riconquistato la penisola iberica dall’occupazione dei mori. A quel tempo il ritratto dei mori sconfitti era stato riportato dai cavalieri cristiani sui vessilli con un valore puramente simbolico. Inizialmente i quattro mori furono solo simbolo della sovranità degli Aragona, ma ben presto divenne vero e proprio emblema della Sardegna, che fino ad allora non aveva posseduto uno stemma proprio. Un manoscritto tardo medioevale riporta la testimonianza di una bandiera con croce rossa e quattro teste di moro, senza fascia, questa inizia a comparire dal XVII secolo in seguito, quando la Sardegna dopo l’unificazione di Castiglia e Aragona faceva parte del regno spagnolo. Il re Filippo II di Spagna volle suggellare la sottomissione dell’isola: i quattro mori rimarcavano il fatto che la signoria feudale spagnola regnasse sopra la Sardegna.
Anche dopo che l’isola venne ceduta al duca di Savoia principe del Piemonte i quattro mori restarono lo stemma identificativo, ma nel XIX secolo fu commesso un errore araldico: un disegnatore piemontese mentre copiava dei vecchi modelli fece scivolare la benda sugli occhi dei mori anziché disegnarla sulla fronte. Secondo alcuni questa non sarebbe stata una svista, ma il tentativo di fissare nel linguaggio araldico la cieca sottomissione dei sardi al dominio piemontese.
Quando la Sardegna fu coinvolta nel processo di unificazione d’Italia nel 1861 il tricolore fece il suo ingresso sull’isola, ma i quattro mori assumono un nuovo significato: diventano emblema della vittoria dei quattro governatorati sardi che nell’Alto Medioevo avevano impedito l’invasione islamica.
In tempi più recenti nel 1921 i quattro mori diventarono emblema del Partito Sardo d’Azione e fu da allora che iniziò ad essere un simbolo conosciuto e nel 1952 quando la Sardegna divenne regione autonoma lo stemma con mori e benda sugli occhi fu riconfermato nel ruolo di bandiera dell’isola.
Ai sardi la benda calata dalla fronte agli occhi non piaceva…ed è dal 1999 che è tornata a cingere la fronte dei 4 mori e da allora il vessillo officiale riporta i quattro mori con fascia sulla fronte che guardano verso destra.

I consigli sardi di una vagabionda

Assaggia la birra ichnusa: nasce nel 1912 il birrificio di Assemini a pochi chilometri da Cagliari, oggi si cerca di preservare e valorizzare la tradizione della produzione di questa birra con un’attenzione particolare verso la tutela dell’ambiente. In Sardegna si trovano varietà diverse che nel continente non vengono esportate come l’ichnusa cruda (birra non pastorizzata con microfiltrazione dei lieviti 4,9% vol) e l’ichnusa al limone (con solo il 2% di alcol dal gusto fresco e leggero); oltre alle classiche ichnusa non filtrata (con gusto deciso per i lieviti non filtrati 5% vol) e alla classica ichnusa (una lager leggera 4,7% vol).
Prova la fregola: si tratta di un formato di pasta di semola a grani prodotta dal rotolamento della semola entro un grosso carino di coccio e successivamente tostata in forno. È un piatto di origini antiche e si può mangiare con diversi condimenti: pesce, verdure e carne; la mia versione preferita? Con frutti di mare misti.
Testa una sebadas: tipico dolce della tradizione culinaria, fritto, una sorta di grosso raviolo con pasta di semola, ripieno di formaggio e spalmato una volta cotto con miele….una vera goduria per il palato!
Scopri le maschere sarde: il carnevale in Sardegna è molto antico ed ha sfumature molto affascinanti. I Maumuthones sono le maschere tipiche di Mamoiada, sono fatte in legno e dipinte di nero, si applicano al viso mentre il corpo è coperto da pelli di pecora, sulla schiena vengono applicati campanacci. Il travestimento riconduce a riti di origine nuragica come venerazione per gli animali e a protezione dagli spiriti del male. Bòes e Merdùles sono maschere di Ottana, rappresentano la lotta tra l’istinto animalesco e la ragione umana: nelle esibizioni carnevalesche il Boe viene inseguito, frustato e catturato dal Merdule entrambi simulando furiose risse. Anche in questo caso le maschere sono realizzate in legno.








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QUANDO E' NATA LA VALIGIA?



La valigia, uno degli oggetti più utilizzati ai giorni nostri, un contenitore indispensabile per portare con noi tutto ciò che ci serve per trascorrere qualche giorno lontano da casa, un elemento importantissimo che contiene oggetti personali, vestiti e in alcuni casi pezzi di vita.

Ma di chi era la prima valigia di cui si ha traccia nella storia? 

Nella tomba del faraone Tutankhamon, XIV secolo a.C., furono trovati più di cinquanta casse e cofanetti contenenti oggetti vari. Dagli antichi Egizi in poi il baule può essere considerato il bagaglio più comune. I Greci e i Romani utilizzavano i bauli negli spostamenti via terra e via mare; si trattava di contenitori di legno o bronzo che venivano decorati con dettagli in avorio e metalli preziosi. Date le dimensioni che questi oggetti avevano spesso fungevano anche da panche e letti, soprattutto durante la navigazione sulle navi mercantili.


Anche sulle navi dei Vichinghi, IX-X secolo, i rematori si sedevano su casse di legno con forme e misure diverse a seconda degli oggetti da contenere e tornavano utili come superficie in cui riposare.
I pellegrini per necessità e comodità avevano un bagaglio essenziale, ridotto all’ osso per ovvi motivi di trasporto dato che percorrevano la maggior parte dell’itinerario a   piedi; con sé avevano una bisaccia contenente sandali di ricambio, libri di preghiera, una rudimentale borraccia (di solito ricavata da una zucca), un bastone e se il pellegrinaggio li conduceva a Santiago de Compostela la conchiglia il lascia passare dei pellegrini.
A seguito della scoperta dell’America si diffusero in maniera capillare le guide di viaggio (le prime furono scritte per i pellegrini che si recavano a Santiago) e il bagaglio iniziò a subire una rivoluzione.
Nel corso del Settecento il bagaglio diventò più simile a quello che utilizziamo per i nostri viaggi. L’esperienza del Grand Tour era molto lunga e in questo lasso di tempo chi partiva necessitava di avere sempre a disposizione scorte di cibo, indumenti, libri, passaporti, medicinali, guide, sacchi a pelo e da qui il bagaglio inizia a diventare più pratico in quanto a dimensioni e composizione.
Nell’Ottocento i viaggi attraverso l’Oceano diventarono quasi routine, commercianti, funzionari e avventurieri si recavano nelle colonie americane e asiatiche per periodi molto lunghi portando a loro seguito un equipaggiamento molto vario. Il bagaglio dato che la navigazione per giungere alle loro mete poteva durare anche mesi prevedeva anche una brandina, necessario per la cucina, scorte di bevande e ovviamente cibo.
I bauli rimasero la tipologia di bagaglio più diffusa e conosciuta fino all’avvento dei viaggi aerei che iniziarono ad imporre limiti di peso e dimensioni alla borsa da viaggio.  Vi erano diversi tipi di bagaglio: il baule-farmacia in cui si conservavano rimedi contro la malaria, piante officinali, garze e intrugli per i malesseri tipici delle traversate; il baule-biblioteca che conteneva volumi di vario genere per la lettura del viaggiatore; infine il baule-letto con tutto il necessario per improvvisare un giaciglio in cui riposare.
Come conseguenza della seconda rivoluzione industriale lo sviluppo dei trasporti a vapore favorirono la nascita del viaggio turistico. Nel 1896 Louis Vuitton lanciò il primo baule griffato, nel 1924 invece la prima borsa morbida anticipò il moderno bagaglio. A cavallo delle due guerre mondiali la diffusione dell’automobile come mezzo di trasporto portò ad un nuovo adattamento delle dimensioni del bagaglio. Si iniziò a prediligere un formato di bagaglio piccolo e compatto che potesse ben adattarsi al bagagliaio delle autovetture…baule deriva proprio da qui si intendeva il vano in cui venivano caricate le valigie dei passeggeri. Quando i viaggi iniziarono ad essere brevi diminuirono gli oggetti da portare con sé, come anche le dimensioni delle borse; negli anni ’30 debuttò la valigetta ventiquattro ore di chi viaggiava per affari: il businessmen.
Il baule andò definitivamente in pensione a fine degli anni ’50 sostituito dalla valigia in pelle più leggera a capiente rispetto al predecessore. La valigia rigida fu in un certo senso una reinvenzione del vecchio baule; nel 1988 il primo trolley fu brevettato da un ex pilota della Northwest Airlines.
Avevate mai pensato a quanti mutamenti ha subito un oggetto antico come la valigia? Forse molti di noi erano convinti si trattasse di un oggetto contemporaneo ed invece accompagna gli spostamenti dell’uomo da sempre.



IL VIAGGIO E LA SUA EVOLUZIONE

Definizione

Viaggio: vïàggio s. m. [dal provenz. viatge, fr. ant. veiage, che è il lat. viatĭcum «provvista per il viaggio» e più tardi «viaggio», der. di via «via2»; cfr. viatico]. 1. Landare da un luogo ad altro luogo, per lo più distante, per diporto o per necessità, con un mezzo di trasporto privato o pubblico o anche, ma oggi raramente, a piedi (definizione dizionario Treccani 2018).

Breve storia della diffusione del viaggio

L’uomo è stato un viaggiatore fin dai tempi antichi.
I primi spostamenti avvenivano soprattutto per motivi commerciali, militari, e religiosi. Durante l’Epoca Medioevale (in particolare dopo l’XI secolo) si assiste ad un massiccio spostamento di uomini e merci oltrepassando i confini di tutta Europa. Spinti da ragioni diverse cavalieri, chierici, guerrieri e mercanti lasceranno nella letteratura un segno del loro vagare.
Il pellegrinaggio si sviluppa proprio in questo periodo storico ed è una delle tipologie di viaggio più antiche, il termine definisce un itinerario compiuto per devozione, ricerca spirituale, o penitenza, verso un luogo considerato sacro. Tutte le grandi religioni sono accumunate da forme di pellegrinaggio, anche se con fini, mete e realizzazioni diverse tra loro.
L’Epoca Moderna rappresenta per eccellenza il periodo dei viaggi di esplorazione via mare. Sicuramente ricorderete la scoperta dell’America (1492), la ricerca di nuove vie per le Indie in modo da ampliare la via delle spezie (1460), le esplorazioni dell’Oceano Pacifico (1520) …
Nel corso del XVIII e del XIX secolo il viaggio inizia ad essere concepito in maniera diversa: ai mercanti, ai diplomatici e ai pellegrini si uniscono intellettuali letterati, poeti, scrittori, artisti e musicisti. Il viaggio ora viene inteso come esperienza di maturazione. Con il Grand Tour attraverso l'Europa letterati e artisti intraprendono lunghi spostamenti con lo scopo di studio- formazione culturale e umana; accompagnano il viaggio valigie, borse e il necessario per le esigenze quotidiane, si sviluppano in questo momento oggetti creati per trasportare effetti personali e per contenere le comodità e la cui produzione, da aristocratica, diventa sempre più diffusa e borghese.
L’Epoca Contemporanea caratterizzata dallo sviluppo industriale e da un maggiore benessere diffuso nella maggior parte delle nazioni è il periodo in cui si diffonde l’esigenza di riposo e di fuga dai ritmi caotici delle città e dalla routine lavorativa. I mezzi di trasporto subiscono importanti miglioramenti tecnologici importanti e sviluppano la dimensione di comfort; da questo momento il viaggio inizia ad assumere una nuova dimensione diventando un’esperienza di piacere il cui fine è il divertimento delle classi sociali benestanti. Come conseguenza dello spostamento in massa di uomini si ha la nascita dell’attuale industria turistica.

Com’è viaggiare oggi? 

Nell’Epoca Contemporanea, ai giorni nostri, più di un miliardo di persone si sposta fuori dai propri paesi.
Gli statunitensi sono stati i primi a potersi permettere il viaggio all’estero, negli Anni 60 è arrivato il turno degli europei, poi ancora dei canadesi, giapponesi, australiani e infine, dagli anni ’80 in poi la voglia di viaggiare si è diffusa in quasi tutti i popoli del globo.
Anche il ritmo del viaggio ha subito una trasformazione che è andata di pari passo con il progressivo sviluppo delle società nei vari paesi. In passato il viaggio era caratterizzato dalla lentezza dei ritmi e da spostamenti contenuti e ristretti, oggi invece i luoghi sono sempre più vicini, le distanze ridotte, il mondo è sempre più interconnesso annullando le distanze tra persone, imprese e culture.

DUE SANTORO A SANTORINI!!




Quest’anno finalmente sono riuscita a visitare una meta che sognavo da tantissimi anni…Santorini!
Si tratta di una delle isole greche più famose e meglio conosciute al mondo soprattutto grazie alla grandissima pubblicità che ne viene fatta sul web.
Oltre che per il nome (che è una declinazione del mio cognome) puntavo questa destinazione per la bellezza dei tramonti, la particolarità degli scorci, per le caratteristiche geologiche dell’isola e ovviamente per la bontà del cibo greco.

La caratteristica principale che rende Santorini un’isola unica al mondo è la sua collocazione: è sorta su una caldera vulcanica! La bellezza mozzafiato di questa terra si estende per 76,19 chilometri quadrati tra piccoli paesini con le tipiche casette bianche e le chiese ortodosse dalle cupole blu e scogliere a picco nel mare scuro. La magia di questi luoghi ha radici antichissime come testimonia il sito minoico di Akrotìri risalente a 3600 anni fa, la città fu sepolta da una catastrofica eruzione e riportata alla luce solo nel 1967. Il Monte Profítis Ilías alto 567 metri è uno dei simboli di Santorini e risulta essere molto più antico dell’intera isola, un milione e mezzo di anni fa si erigeva solitario in mezzo al Mar Egeo. Sul fondo del mare iniziarono i processi vulcanici che nel corso di millenni, di eruzione in eruzione, formarono un’isola di forma circolare. Al centro vi era un cono vulcanico alto circa 1700 metri, ma a seguito di una delle eruzioni saltò in aria e tra Capo Akrotíri e Aspronísi l’isola si spezzò. Come conseguenza di quest’azione il mare riempì la caldera appena formata e Santorini assunse il suo aspetto odierno, anche se inizialmente il perimetro tra Oía e Thirasía non risultava interrotto. Nel 1600 a.C. l’ennesima eruzione spezzò anche questa parte conferendo all’arcipelago l’attuale forma; il vulcano ricoprì con cenere e pomici l’intera isola conferendole un rivestimento spesso in alcuni tratti fino a 60 metri.
Quasi tutte le spiagge a Santorini si affacciano sul mare aperto sia sulla costa orientale che sudorientale.  I lidi principali si estendono su chilometriche strisce di sabbia dai granelli rossi e ghiaia vulcanica nera o grigia. La costa sud ha spiagge ghiaiose, con ciottoli e pietra pomice (entrare in acqua in alcuni casi è stata una vera impresa, soprattutto senza le scarpette da scogli), ma a mio avviso sono le più suggestive e le più tranquille se volete isolarvi e staccare del tutto la spina.

I principali paesi sorti sull’orlo del cratere sono due Oìa e Firà (personalmente ho trovato il primo molto più tranquillo e piacevole da visitare, il secondo è meta presa d’assalto da crocieristi e da chi ha poco tempo per visitare l’intera isola).  Firà è il principale centro abitato di Santorini, qui sono sorte la maggior parte delle strutture ricettive, appartamenti scavati nella roccia vulcanica, ristoranti e locali alla moda, il tutto condito con dettagli lussuosissimi.  Oìa sorge sulla punta settentrionale dell’isola ed è testimonianza della rinascita di Santorini dopo il disastroso terremoto del 1956. I restauri e i lavori intrapresi hanno restituito a questa località la bellezza di cui godeva, oggi viene infatti definita una delle località più belle e caratteristiche di tutte le Cicladi.  L’abitato vi lascerà senza parole: sorge sul ripido versante della caldera. Se riuscite ad arrivare ad Oià alle prime luci dell’alba come ho fatto io potrete immergervi nei vicoli e passeggiare tra le bianche casette senza essere continuamente spintonati dai molti turisti che affollano il borgo durante il resto della giornata. Kamári si situa sulla costa orientale ed è uno dei più famosi centri balneari dell’isola, sul lungomare del paese si susseguono bar, ristoranti e negozi.
Alle località più conosciute e commerciali ho preferito centri minori come Mégalohori, il comune più piccolo di Santorini, che con i suoi stretti vicoli e le cupole blu delle chiesette offrono scorci stupendi per piacevoli passeggiate. Pyrgos è il villaggio più elevato, il centro storico è arroccato su un’altura di 350 m e fu in passato un borgo fortificato sovrastato da un piccolo castello (di cui oggi rimangono purtroppo solo fatiscenti rovine); il tramonto qui è altrettanto bello che a Oía, con la differenza che non troverete ressa e affollamento come nei centri più famosi.

I tramonti a Santorini sono davvero indescrivibili…dovreste provarli per capire che cosa sto cercando di descrivere! Quando il sole sembra gettarsi nelle acque del mare si creano giochi di luce davvero suggestivi che la caldera rende ancora più particolari ed emozionanti. Per vedere il tramonto non cè che l’imbarazzo della scelta per la location, la mia preferita è stata il faro di Akrόtiri un’alternativa molto più tranquilla a Oía in cui sorseggiando una birra (rigorosamente presa al supermercato) potrete godere di uno degli spettacoli più belli che la natura può offrirci.

Santorini in breve consigli di una vagabionda

Con chi sono andata? Mia sorella…due Santoro a Santorini!!
Periodo e durata del mio viaggio: una settimana dal 28giugno al 5 luglio, un buon periodo per visitare i centri principale senza troppo affollamento, consiglio di rimanere sull’isola almeno 5 giorni per poter visitare la maggior parte dei punti di interesse.
Budget totale della vacanza (compresi trasporti, albergo, cibo ed extra): 550€.
Mezzo di trasporto usato per girare l’isola: moto, 150cc, comoda per le strade più ripide e per trovare parcheggio anche nelle località più affollate.
Cosa ho visitato? Museo di Thíra Preistorica, Museo Archeologico, Antica Akrotíri, Antica Thera.
Spiagge: Black beach, White beach, Red beach, Akrotiri beach, Vlihada beach, Kamari beach, Perivolos beach, Gialos beach, Kambia beach, Agia Irini beach, Agios Georgios beach.
Borghi visitati: Oía, Ammoudi, Firà, Messaria, Vothonas, Pyrgos, Megalohori, Kamari, Perissa, Emporio, Akrotíri.
Piatti greci da testare: pitta gyros (pane pita per me rigorosamente con verdure senza carne), fáva (purea di piselli gialli), insalata greca, feta al forno, tzatziki (salsa a base di yogurt e cetrioli da mangiare con il pane pita), dolmádes (foglie di vite ripiene di verdure), revithόkeftédes (frittelle di ceci), saganaki (formaggio di pecora fritto), spanakopita (torta salata con spinaci e feta).
Ristorante preferito: Elias Grill a Kamari








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UMBRIA ON THE ROAD



Borghi fioriti, colline, distese di campi perfettamente coltivati, chiese con architetture stupende contenenti tesori nascosti, tramonti mozzafiato, viottoli lastricati e campi di girasoli…queste sono solo alcune delle cose mi vengono in mente pensando all’Umbria. Una regione che fino a qualche giorno fa non conoscevo per niente, ma che mi ha lasciata davvero senza parole per la sua bellezza naturalistica e per le particolari costruzioni.
L’Umbria, collocata nell’Italia centrale, è una regione ricchissima di storia. Ne sono testimonianza i borghi con le mura perfettamente conservati e che ancora oggi fungono da accesso alle città, le case-torre sono ancora abitate e alcuni luoghi storici come le fortezze sono diventate particolari location per alberghi e ristoranti. In Umbria si respira storia ovunque…che l’atmosfera medioevale sia ancora presente? Spesso passeggiando nelle strette vie dei paesini meno conosciuti e frequentati dai turisti ho viaggiato con la mente nel tempo fantasticando di trovarmi nel lontano 1100 o 1200 epoca di costruzione di molti dei borghi che ho visitato, la totale assenza di rumori e traffico mi ha quasi fatto dimenticare di essere nel 2019. Questa antica terra è stata via di passaggio di popoli che hanno scritto la storia: etruschi, romani e gli antichissimi umbri, i resti della transizione di queste genti sono di altissimo valore archeologico.
La spiritualità dei luoghi aleggia dappertutto e trova espressione nelle chiese, monasteri, abbazie, eremi e cappellette che oggi sono muti testimoni della fede cristiana incarnata nella figura di San Francesco d’Assisi uno dei santi più conosciuti e venerati in Italia. Come per i primi eremiti cristiani che si rifugiarono in Umbria e per lo stesso San Francesco camminare è stato molto importante e lo si può fare in contesti molto particolari: nelle aree archeologiche, nei parchi naturali, sulle colline che offrono visuali a 360 gradi e nei piccoli paesi disseminati su tutto il territorio, Le salite e i gradini presenti vi sembreranno pesanti durante la salita, ma la fatica sarà cancellata dalla pace e dalla bellezza che la terra umbra offre.
Forse la decisione di visitare una regione senza mare in agosto non è stata delle migliori, ma la brezza fresca delle colline è stato un incentivo per esplorare borghi magnifici, ad un primo sguardo simili tra loro, ma dopo un’attenta visita ognuno è risultato essere particolare e diverso dall’altro. L’armonia dei paesaggi, delle architetture e dell’arte mi ha davvero spiazzata, mai avrei pensato di apprezzare così tanto questa terra le cui ricchezze sono custodite da un popolo che ad una domanda o alle curiosità dei viaggiatori risponde con saggezza e orgoglio profondo.
Ho raggiunto l’Umbria in macchina, inizialmente l’idea era di accamparmi con la tenda, ma alla fine ho campeggiato solamente la prima notte; è stato difficile trovare le località giuste in cui piantare i picchetti soprattutto senza invadere i campi coltivati.

IL MIO ITINERARIO:
DAY 1
-Gubbio-Rasiglia-Norcia-Castelluccio di Norcia-Monti Sibillini-
Il primo borgo umbro che ho incontrato è stato Gubbio. Il piccolo centro di origine romana rivestì un ruolo di rilievo nel XIV secolo, epoca in cui assunse l’aspetto attuale. Il luogo che ho preferito di Gubbio è stata Piazza Grande, una grande piazza di impostazione medioevale su cui si affacciano il Palazzo dei Consoli e il Palazzo Pretorio. Da questo importante spazio pubblico si gode di una panoramica sulle colline, osservate l’orizzonte sorseggiando una birra e mangiando una crescia! Dalla piazza si arriva a piedi alla cattedrale, al Palazzo Ducale e alla torre medioevale.
Rasiglia conosciuta anche come borgo delle acque è davvero un piccolo gioiellino. L’intero paese è attraversato da piccoli corsi d’acqua e ruscelli, tra le case in pietra ci sono cascatelle, ponti, lavatoi e fontane in cui rinfrescarsi. Le acque del borgo sono alimentate infatti dalle sorgenti del fiume Menotre, che nasce proprio in questi luoghi incontaminati offrendo scorci veramente unici.
Norcia da sempre è stata bersagliata da terremoti, nel 1328 la città fu completamente rasa al suolo si salvarono solo le mura ancora oggi visibili, anche oggi i segni del recente terremoto del 2016 sono la prima cosa che salta all’occhio entrando nel cuore del paese: della chiesa di San Benedetto non rimane che la facciata.
Castelluccio vi lascerà senza fiato per la bellezza del paesaggio che in agosto sembra dipinto con tutte le tonalità di verde immaginabili, la natura qui si è davvero superata. Il Pian Grande, sovrastato dai Monti Sibillini scolpiti e arrotondati, è dominato dal piccolo paese sorto a 1400 metri di quota. Qui la prima notte l’ho passata in tenda, sulla cima di una collina da cui ho potuto godermi ogni singolo gioco di luce creato dal tramonto e all’alba un altrettanto meraviglioso spettacolo mi è stato riservato osservando la piana dall’alto…la nebbia che saliva dai prati ha creato l’illusione di un lago che si fondeva con le sfumature di arancione, rosso e azzurro del cielo.

DAY 2
-Foligno- Spello-Assisi-Perugia-
La giornata inizia con una visita di Foligno alle prime luci del mattino, senza incontrare quasi nessuno, anche qui si respira storia e atmosfera medioevale in ogni via. Il centro storico è ricco di tesori architettonici: Duomo, dal Palazzo Comunale e da Palazzo Trinci, passeggiate con i vostri pensieri e sorseggiate per svegliarvi al meglio un caffè nella piazza della Repubblica.
Spello, il borgo fiorito, è stato uno dei paesi che più mi ha entusiasmata in Umbria. Le costruzioni, le vie strette, gli scorci obbligano chi entra nel borgo ad effettuare una visita lenta, perdendosi di continuo nei saliscendi all’interno delle mura assaporando i gradevolissimi profumi che emanano le cucine di case e ristoranti.
Assisi è una tappa obbligatoria in un tour dell’Umbria che si rispetti, ma forse confronto ai quieti e silenziosi borghi minori risulta una cittadina un po' caotica e con troppi negozi e ristoranti. Il fatto che sia brulicante di turisti e piena di esercizi commerciali di ogni sorta stride un pochino con l’immagine della terra natia di San Francesco. Le architetture religiose sono magnifiche, le chiese principali la Basilica di San Francesco e la Basilica di Santa Chiara (le uniche due che ho deciso di visitare) sono davvero stupendi esempi di antichi cantieri suggestivi anche oggi nonostante il progredire delle conoscenze e dei metodi costruttivi. Gli affreschi e gli impianti delle costruzioni sviluppate su più livelli vi stupiranno per il perfetto stato di conservazione e la magnificenza dei colori soprattutto se si pensa agli enormi danni provocati alla Basilica Superiore di San Francesco dal terremoto del 1997.
Perugia capoluogo umbro è una graziosa città sorta su un’antica acropoli etrusca. Si trova in posizione sopraelevata e dalle mura si può godere camminando di bellissimi scorci sulle colline circostanti, arrivando in lontananza si può riconoscere la successione prospettica di campanili che rendono lo skyline di Perugia inconfondibile. Ho dedicato alla visita della città qualche ora decidendo di scoprire i principali punti di interesse come la Piazza IV Novembre con il Palazzo dei Priori e la Fontana Maggiore, il Pozzo Etrusco, la Rocca Paolina, la Cattedrale e l’Arco Etrusco. Il centro storico è percorso da Corso Vannucci, una passeggiata che unisce nord e sud congiungendo Piazza IV Novembre, l’antico nucleo di Perugia e Piazza Italia, luogo principale del periodo postunitario.

DAY 3
Dopo il caos e il via vai di Perugia e Assisi sono tornata alla tranquillità dei piccoli borghi. Todi è un piccolo comune tra le colline a cui si accede tramite una funicolare gratuita o con una passeggiata. Anche gli edifici medioevali qui la fanno da padrone incorniciando la piazza principale su cui si affaccia il Duomo dell’Annunziata con il suo splendido rosone; è la città di Jacopone da Todi uno dei più celebri autori di laudi religiose della letteratura italiana. Sembra un borgo fantasma pochissimi turisti scelgono Todi come tappa ed è per questo che conserva la silenziosa atmosfera che doveva avere nel passato.
Dopo i molti borghi visitati ho deciso di vedere anche le bellezze naturali che l’Umbria offre dirigendomi nella zona di Terni in cui è custodito uno dei paesaggi rimasti incontaminati dall’azione dell’uomo: le cascate delle Marmore. La cascata è uno spettacolo senza paragoni soprattutto quando la si osserva con la sua massima portata (in orari prestabiliti da verificare prima di andare). Io ho deciso di effettuare il percorso partendo dall’alto da cui si osserva la cascata incorniciata dalla nuvola di acqua che da essa si propaga, con la fortuna di avere immortalato un mezzo arcobaleno creato dai giochi di luce tra sole e acqua! Per scendere e giungere al Belvedere Byron che è anche il punto in cui vi è la prospettiva migliore dell’intera cascata ci sono 3 sentieri. Il sentiero 1 (quello che ho scelto)è il più lungo ed impegnativo, ma è anche quello che regala gli scorci migliori, per scendere il percorso è a gradoni e in alcuni punti scivoloso per lo zampillare dell’acqua, se non volete bagnarvi acquistate un impermeabile usa e getta prima di entrare e indossate scarpe comode.
A pochi passi dalle cascate un altro borgo ha suscitato la mia curiosità San Gemini. La località è rinomata per le qualità benefiche delle acque minerali, ma con il sito archeologico di Carsulae (un museo en plein air) offre ottimi spunti per una visita più approfondita. Nella piazza centrale vi è la chiesa medioevale di San Giovanni e interessante è anche il Palazzo Pretorio con l’annessa Torre Esperla; la sera passeggiare tra le vie di San Gemini con le luci gialle soffuse è stato davvero suggestivo.

DAY 4

Orvieto è stata l’ultima tappa in Umbria. Collocata su una rupe tufacea di origine vulcanica, i camminamenti nella cittadina si percorrono seguendo un percorso ad anello che si snoda tra verdi parchi e viuzze strette. Il centro storico rivela i millenni di storia di Orvieto nata come insediamento etrusco (come ricordano i reperti custoditi nel museo archeologico). Il Duomo è difficile da descrivere a parole…è un imponente cattedrale, difficile da classificare per l’eterogeneità delle soluzioni architettoniche di cui si compone, ma la facciata è davvero sorprendente grazie all’uso di mosaici e a motivi tipici del gotico francese.
La visita alla scoperta dell’Umbria si interrompe ad Orvieto, ma il viaggio prosegue risalendo dalla Toscana, visto il caldo c’è stata una piccola tappa al mare presso il Lido di Tarquinia (che mi ha fatto una pessima impressione) prima di raggiungere le famose terme naturali di Saturnia.  Il sito termale nasce da un’unica sorgente e l’acqua sgorga con una temperatura di circa 37 gradi, piacevole nonostante il caldo di agosto. L’acqua delle terme è minerale poiché durante il percorso sotterraneo si mineralizza assorbendo anidride carbonica che durante il processo di scarico di scioglie liberando zolfo, calcio, solfati e magnesio. Le terme naturali in quanto gratuite sono affollate, ma in orario tramonto sono abbastanza vivibili, inoltre la luce vi regalerà scatti con un colore d’acqua di un azzurro particolare!
Per la notte a pochi passi da Saturnia ho raggiunto il paese di Murci nell’entroterra della Maremma di Grosseto; il borgo è minuscolo unico monumento da visitare è la chiesa di San Domenico e poco distante è sorto il parco eolico un impianto per la produzione di energia eolica.

DAY 5
Quinto e ultimo giorno rientro alla base, ma con un’ultima tappa: Siena la cittadina toscana nota per il suo palio. La città senese è conosciuta per il ricco patrimonio storico, artistico e per l’impianto urbano tipicamente medioevale, tanto che il centro storico è diventato patrimonio dell’UNESCO. Piazza del Campo è un autentico capolavoro con la sua particolare forma e la bellezza architettonica, su di essa si affaccia il Palazzo Comunale, all’interno di questo spazio si svolge il famoso palio (competizione tra le contrade di Siena nella forma di giostra equestre come nel Medioevo). Oltre alla piazza uno sguardo va rivolto anche al Duomo, la chiesa è un esempio dello stile romanico-gotico e al Battistero di San Giovanni al di sotto del campanile della chiesa.


UMBRIA ON THE ROAD CONSIGLI DI UNA VAGABIONDA

Campeggio alternativo
Dormire in tenda sui Monti Sibillini è stato fantastico: un tramonto suggestivo, una notte al freddo e un’alba sulla piana di Castelluccio magica con giochi di luce e nebbia pazzeschi.
Dormire in un castello
Nei pressi di Perugia ho trascorso la notte in un autentico castello la fortezza di Monterone. Ho trovato l’alloggio su booking e grazie ad un buono sconto la notte passata qui non è stata così costosa. La struttura nacque nel XIII secolo ed ebbe nel corso dei secoli un ruolo attivo nella storia della provincia perugina finche’ nei primi decenni del Novecento a seguito della morte dell’ultimo proprietario Alessandro Piceller il castello fu abbandonato. Oggi è diventato dimora storica per il soggiorno di turisti con tutte le comodità e il lusso dei giorni nostri (spa e piscina) pur mantenendo le radici medioevali (nella mia camera nella parete sopra al letto vi era uno splendido rosone che ha dato il nome “Rosone” alla stanza.
Murci una notte fuori dal mondo
In questo borgo potete spegnere davvero la spina: il cellulare non prende, c’è pochissimo movimento e intorno solo colline. Ho soggiornato nel b&b L’Asino vola di una simpatica e carinissima signora napoletana Daniela, la struttura oltre ad offrire camere è anche ristorante-pizzeria con una cucina molto curata e gusti della tradizione uniti ad un tocco partenopeo. Risvegliarsi in una delle camere è come mettere un piede nei passati anni 50 per il gusto dell’arredo e la semplicità di tutto ciò che c’è intorno.






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